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BENEDETTA FOLLIA (Italia, 2018)

  • Writer: Riccardo Iaccarino
    Riccardo Iaccarino
  • Mar 27, 2018
  • 3 min read

Carlo Verdone da' pieno sfogo alla sua malinconia d'autore, ogni volta sempre meno mascherata da commedia all'italiana.


Carlo Verdone ha trovato il successo durante la mia adolescenza. Ricordo il cinema stracolmo di ''Un Sacco Bello'' ed i bei giorni in cui riuscivo ancora a non provare odio per la perfida MariSol (non e' stato cosi' per le successive visioni). Ricordo anche una proiezione semivuota di ''Bianco, Rosso e Verdone'' che ritengo tuttora la vetta insuperata e insuperabile del cinema dell'attore e regista romano.


Questo preambolo occorre per allacciarmi ad uno dei cardini generali della mia poetica: ognuno di noi ha una (sola ed unica) storia da raccontare. Ognuno di noi, intendo, non artisti, scrittori o uomini di cinema, ma proprio CHIUNQUE, ciascun essere umano, dal piu' carismatico al piu' introverso, senza eccezione alcuna.

La stragrande maggioranza delle persone non ha la forza nel suo destino di sviluppare e condividere con gli altri quella storia. Ci sono invece individui predestinati che, per irripetibili combinazioni di talento e fortuna, riescono a declinare la ''loro'' storia mascherata in mille modi egualmente diversi ed affascinanti.

Ecco, credo che Verdone stia un po' nel mezzo: come quei cantanti che nascono e muoiono nello spazio di una canzone, cosi' Carlo non e' mai riuscito a trovare (a mio modesto parere) un modo differente di declinare il suo io al di la' del monocorde stereotipo dell'uomo perbene, intrappolato dalle convenzioni e da una personalita' essenzialmente depressa in una infinita teoria di ripetizioni di se stesso.


Intanto pero', purtroppo, il tempo scorre inesorabile attorno all'immutabile tempo interiore dell'artista, che qui rievoca sin dall'inizio i toni piu' malinconici di cui e' capace, forte della sua cristallina formazione alla Scuola di Cinema della capitale.

E sebbene il tempo esteriore paia a tratti prevalere, nella grevita' di alcune battute, nel product placement ossessivo, marchio d'infamia di tutta la produzione Filmauro, inclusa anche una scena di tre dicansi tre minuti sceneggiata da Luca Tomassini che, se esistesse il premio Oscar come miglior 'corpo estraneo' all'interno di una pellicola cinematografica, ritengo dovrebbe entrare di diritto nella storia del cinema (fate conto che dieci secondi di musica techno in sottofondo avrebbero dato un risultato mille volte migliore)... voglio essere sincero: si ride, a tratti, e ci si commuove anche.


Intendiamoci: e' una commozione empatica per un uomo costretto a rimettersi in discussione come mai prima nella vita, di fronte ad un matrimonio fallito, in una evidente metafora della storia artistica di Carlo, che ritroviamo oniricamente (ed emblematicamente) faccia a faccia con il se stesso di ''Troppo Forte'', quell'aspirante cattivo dentro con il 'faccione da caciotta', un vate del cinema autorale represso e costretto dal successo nel recinto della commedia dell'arte, sempre in attesa di risalire sulla sua moto e riprendere quel viaggio chissa' come interrotto in sacrificio alla ''monogamia'' a lui imposta dal giovanile e repentino successo.


La frase del film:

“Devo recuperare quello che ho perso.”

Non male, ma nemmeno bene come mi sarei atteso, la filiforme ma tutt'altro che eterea Ilenia Pastorelli, che non ci lascia certo indifferenti nelle scene sulla battigia o della lap dance al locale notturno, ma neppure ci rende ''d'acciaio'' come un ferreo soldatino Jeeg, ci siamo capiti: siamo in sintesi molto lontani dall'erotismo di Claudia Gerini in ''Sono pazzo di Iris Blond'', siamo lontani perfino da quella interpretazione, con la bella Ilenia che ci appare quasi intrappolata nello stereotipo di se stessa (sara' forse che io proprio cosi' me la immagino: una bellissima e verace coattona di periferia!)... peccato! Chiudo la parentesi sulla Pastorelli, vi butto li' la mia: dovrebbe forse prendere il coraggio a due mani e lanciarsi in territori inesplorati, magari in un ruolo ad alto tasso erotico da 'femme fatale'.


(Carlo Verdone, pigmalione stanco e un po' sfiduciato, in azione)


E cosi', anche su un lieto fine d'obbligo per una pellicola vieppiu' leggera e dotata di un certo antico senso del pudore nel suo protagonista, la felicita' torna con un nuovo amore e con l'agognato viaggio in motocicletta, ma la malinconia depressiva di Verdone ci assiste nella scelta della musica solo apparentemente stridente (''E la chiamano estate'', interpretata da Bruno Martino, ma soprattutto scritta dal Califfo) per la scena finale, a ricordarci che anche quel momento svanira' e di come la felicita' sia solo per gli sciocchi; mentre la serenita', invece, e' li' a portata di mano proprio per tutti: basta riuscire a fermarsi nel presente.


Giudizio critico:

5/10 ★ ★ ★ ★ ★ ☆ ☆ ☆ ☆ ☆


Giudizio emozionale:

7/10 ★ ★ ★ ★ ★ ★ ★ ☆ ☆ ☆


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