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MEKTOUB - MY LOVE: CANTO 1 (Francia, Italia, 2017)

  • Writer: Riccardo Iaccarino
    Riccardo Iaccarino
  • May 29, 2018
  • 5 min read

Il meraviglioso cinema visivo e del ''non detto'' di Kechiche.


E' dopo aver visto capolavori come questo che mi pento amaramente di voler portare avanti per inutile narcisismo questo blog. Perche' condensare le tre ore di visione in poche righe e' impossibile, ed anche dilungarsi alquanto non puo' rendergli giustizia.

Certo potrei cavarmela con la semplice descrizione della trama: non c'e'. Non c'e' trama, non c'e' vicenda, non e' un teen movie, ne' un'opera sull'educazione sentimentale. Non c'e' nulla di esplicito che non siano i giovani corpi femminili che dominano in lungo e in largo lo schermo.


Vediamo di distinguere almeno due aspetti fondamentali che mi hanno colpito di quest'opera: il primo e' il linguaggio. Sicuramente critici piu' bravi e professionali di me hanno individuato probabili ispirazioni qua e la'. Io non trovo ed anzi desidero non proporre paragoni: semplicemente sono uscito dalla sala conscio di aver visto qualcosa di assolutamente nuovo, coinvolgente, peculiare come solo le grandi opere d'arte sanno essere.


Le sequenze si dilatano nel tempo e nello spazio per minuti e minuti, siano esse un caldo pomeriggio in spiaggia, la poetica attesa di un parto di agnellini o la nottata in discoteca di questo gruppo semi-familiare di esseri umani (nel piu' proprio senso del termine), e Kechiche ha il dono (la luce, come lui afferma citando Bibbia e Corano univocamente all'inizio del film), la capacita' unica di portarci letteralmente DENTRO, oltre i confini dello spazio e del tempo, che quasi ci par di sentire il caldo di quella spiaggia o l'afrore dei corpi (parlo per chi ha esperienza di cosa sia possedere una donna vera ovviamente, non del dolce stil novo), in un trionfo del visivo amplificato da dialoghi vuoti, imprecisi, sovrapposti e proprio per questo estremamente realistici e riusciti. Ci dimentichiamo presto di essere in sala ma anzi siamo nel 1994, siamo praticamente fisicamente anche noi in quelle spiagge assolate del sud della Francia, siamo in quel periodo incredibilmente sospeso nel tempo e nello spazio chiamato giovinezza.


Secondo aspetto: la poetica. Crepuscolare, la definirei. ''Non amo che le rose che non colsi'', ci ammoniva il pressoche' obnubilato Gozzano, in quel meraviglioso carme che e' Cocotte.


Il protagonista, proprio come Gozzano con la signorina Felicita, c'e', ma non c'e'. Passa ogni istante che puo' vicino alla non-sua Ophelie, ma per il resto non agisce praticamente mai, ma soltanto guarda. Fotografa. Scruta. Fissa nella sua memoria, con lo scopo di fissare la bellezza in quella di ciascuno di noi.

Solo lo sguardo distaccato del regista/Amin ci permette di cogliere l'essenza della bellezza, prodotto ultimo della giovinezza: e' questo il principale insegnamento che ho colto in quest'inno alla vita che e' il primo capitolo di (si spera) una trilogia annunciata dall'autore.

Amin, dicevo, c'e' ma allo stesso tempo non c'e'. E' li' in vacanza, in un tempo sospeso e circondato solo di bellezza (ragazze, clima, situazioni), eppure non fa niente: non beve, non balla, non cerca profferte, anzi, rifiuta le svariate che (essendo egli per vocazione, per destino uno spettatore, un voyeur - per scelta e non per necessita', come potrebbe essere il mio caso o quello di tanti esseri umani non ''illuminati dalla luce'' - ), e vaga qui e li' alla ricerca dell'essenza di tale bellezza, piu' che del vacuo possesso fisico.


La frase del film:

“Non contano le parole. In fondo conta solo amare”.

Certo, c'e' molto di non detto, come dicevo. Anzi il film e' tutto un non detto. Non e' esplicita ma e' oltre il palese la sua idolatria per la ipermorbida Ophelie, una ragazza dotata di pura carnalita' e di quella che dalle mie parti si chiama ''bellezza dell'asino'', cioe' destinata a sfiorire col tempo (ed infatti lui si offre solo di fotografarla - ma persino questo gli e' negato - di catturare e fissarne l'essenza, ebbro dell'icona primaria e musa diretta o ispiratrice di tutte le foto che cattura avidamente).

Ma in realta' il sentimento non puo' essere ricambiato per definizione, e non certo perche' il protagonista (credo di essere oggettivo, anche stando alla narrazione) non sia attraente, ma perche' egli e' un eletto. Nel suo destino (mektoub, appunto) c'e' l'arte del racconto visivo, non quello della seduzione o delle arti amatorie (nelle quali eccelle il cugino Toni).

Nell'arte del racconto non c'e' quasi neppure il sesso, descritto certo con intensita' nella scena iniziale (ma poi non detto, anch'esso, in tutto il resto del film), che Amin si ferma a guardare di sbieco con certo un vulcano interiore di non detto.

Ma come possiamo davvero dispiacerci, comprendiamo con il trascorrere del film, se in quel letto o in quella doccia dietro e sopra le grazie di Ophelie accovacciata ed accogliente vi sia il cugino e non lui: lui non c'entra proprio nulla con la sua ''giunonica in-fieri'' musa, cosi' terrena, cosi' assetata di vita, di sessualita' maschile e scopriamo con il procedere del film, vieppiu' anche femminile: il suo giusto omologo e' il monodimensionale seduttore, incapace di esprimere sentimenti che non siano falsi e manipolatori per le sue vittime, gli schiavi dell'assoluto come l'ingenua Charlotte, che crede di poter incarnare ''la donna della vita'' di qualcuno.


Ma attenzione: non c'e' giudizio negativo alcuno da Kechiche del mondo femminile. Tutt'altro: solo pura ammirazione ed idolatria. Per il corpo delle ragazze nel fulgore della loro gioventu', per il ventre, per i seni, per le forme sode e persino per la pelle sudata. Ma nulla in confronto al sedere in primis, che domina la scena per quasi tutta la durata del film, sia con Ophelie che ancor piu' con le altre meravigliose e giovani coprotagoniste (Lou Luttiau su tutte, in un fulgore abbacinante quanto i filtri che abbagliano lo spettatore di luce inondata in alcuni punti dell'opera).



Ebbene: purtroppo, con l'usura del tempo ed il cinismo accumulato, temo di non essere piu' in grado di comprendere appieno questa poetica cosi' ingenua; ma in fondo se solo prendessimo le donne semplicemente per quello che sono: donne...

Portatrici di bellezza, di vita, come la partoriente pecorella. E pazienza se tanto c'e' sempre un Toni che ci precede, che vince l'inutile gara, o peggio ci scalza dalle coltri dell'amata.

Esse, le donne, per definizione, pare ricordarci Kechiche, non sono oggetti: sono esseri umani, sono persone. Quindi non dovrebbero essere soggette al concetto del possesso (ipocritamente definito dal termine letterario gelosia).

Sono come meravigliose farfalle, di una bellezza tanto abbacinante quanto caduca, e dobbiamo imparare a goderne appieno senz'altra pretesa che la loro compagnia, carnale quando accetta, o magari solo amicale quando esse non siano, o non facciano piu' parte, del nostro 'mektoub'.


Lou Luttiau

Giudizio critico:

10/10 ★ ★ ★ ★ ★ ★ ★ ★ ★ ★


Giudizio emozionale:

9/10 ★ ★ ★ ★ ★ ★ ★ ★ ★ ☆


Bình luận


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